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Immagine del redattoreFilippo Manassero

scrivendo/mi-ti (4 ottobre 23)

Ogni tanto mi capita di trovarmi in una "fase calante", ciclicamente, proprio come il bel pianeta.

In quei momenti, mi sento come trascinato verso il basso; osservo la quotidianità e il passato come se fossero dietro un velo che attenua i colori. Per quanto riguarda il futuro, evito di contemplarlo. Vado letteralmente in crisi a causa della contraddizione tra tutto ciò che riesco a comunicare così bene agli altri riguardo ai temi esistenziali e spirituali, contrapposto alla sensazione di non riuscire a concretizzarli senza costringerli ad astrazioni. E quindi finisco per oppormi a questo stato d'animo, finendo per amplificarlo.

Mi rivolgo con durezza e mi dico che non ho compreso nulla, che mi sfugge qualcosa di fondamentale se continuo a ritrovarmi ciclicamente allo stesso punto, che sto errando nel mio lavoro, che sono un ingenuo e inizio a dubitare di me stesso. E può esserci qualcosa di peggiore? Nel senso, è normale avere incertezze, ma dubitare di se stessi è la peggiore sofferenza che possiamo infliggerci.

Ma se in quel momento sto soffrendo, chi è il mio vero Io? (questa domanda di cui scrive Eckhart Tolle in "Il potere di Adesso" è un salvagente lanciato da una scialuppa angelica) Colui che infligge dolore o colui che avverte sofferenza?

Il secondo, naturalmente.

E allora mi esercito a rimanere nel mio vero Sé. È difficile all'inizio! L'altro Io, la mente con la sua volontà di punire, con tutte quelle paure, rabbia e sfiducia, non si dissolvono rapidamente, e tanto meno volentieri.

Nel mio Io autentico, accetto di accogliere la sofferenza con l'intento di smascherarla. Visto che è stata innescata da quello falso, dalla mente con i suoi pensieri, questa sofferenza deve riconoscersi e riconoscermi, che si basa su finzioni e paure e può quindi dissolversi, svanire. Non ci riesco subito, a volte ci metto molto tempo, e questo processo non si esaurisce in un solo momento. Si ripete spesso, anche settimane, e ogni volta, ogni singola volta, si somma alle altre. E ogni volta, anche se solo gradualmente, riesco a sentire la mia parte più autentica. Sento una profonda quiete e comprendo che ha radici impossibili da calcolare. La sua sorgente è antica ed è la sorgente di tutto. Il suo silenzio è un meraviglioso oblio.

Questo non fa sparire le situazioni o gli eventi che hanno portato la mente a etichettarli come negativi, problemi o ingiustizie, ma indebolisce quella tendenza innata, lasciando spazio alla fiducia in quella sorgente e alla consapevolezza che può percepirla.

È evidente che in questo periodo sto vivendo questo processo. Sono immerso in esso da un po' e non ho idea di quanto possa durare. Ma scrivere di questo mi ha fatto bene e spero che possa fare lo stesso per chi mi leggerà, nel caso in cui si trovi nella medesima sensazione.

Nel passaggio precedente, scrivendo "...e inizio a dubitare di me stesso" mi sono con enorme sorpresa veramente dato un “pizzicotto”. Mi sono fermato nella scrittura.

E poi ho ripreso.

La potenza evocativa di questa affermazione la voglio assorbire completamente per trasformarla nell'abbraccio più compassionevole che possa darmi.


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